@Namskot

29/04/2024 alle 13:46

Plotino e Parmenide

Plotino e Parmenide

Plotino considera Parmenide come il primo pensatore ad aver enunciato la nozione di identità di essere e pensiero, sulla quale poggia l’intera concezione plotiniana della realtà intelligibile intesa come Noûs. Proprio in questa direzione va letto un noto brano del I trattato della V Enneade (il X secondo l’ordine cronologico), dedicato alla trattazione delle tre ipostasi principali. All’inizio del cap. 8 di questo testo, Plotino afferma esplicitamente che Parmenide, prima di Platone, ha colto l’identità di essere e pensiero come tratto distintivo della dimensione intelligibile. Ma al contempo, in questo medesimo contesto, Plotino spiega che la prospettiva di Parmenide va, in un certo senso, integrata e corretta alla luce della filosofia platonica.

Plotino afferma esplicitamente che Parmenide, ancor prima di Platone, ha delineato la natura della realtà intelligibile identificando fra loro essere e pensiero (καθόσον εἰς ταὐτὸ συνῆγεν ὂν καὶ νοῦν). Proprio in tal senso, del resto interpreta il fr. 3 di Parmenide (τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστί τε καὶ εἶναι). In effetti, secondo la prospettiva plotiniana, l’identità di essere e pensiero è ciò che contraddistingue in modo essenziale la natura complessiva della realtà intelligibile, ovvero dell’ipostasi del Noûs, la quale, nella prospettiva neoplatonica plotiniana, è intrinsecamente caratterizzata, per usare un’espressione di Werner Beierwaltes, da una dynamische Identität, vale a dire da una “identità dinamica” e relazionale, non tautologica. Come si evince dal passo appena citato, nell’ottica plotiniana l’essere, proprio in virtù della sua dinamica identità con il pensiero, non può essere concepito come puramente e semplicemente “immobile”, nella maniera in cui lo definisce Parmenide: esso piuttosto risulta intrinsecamente relazionale, proprio perché ha in se stesso il pensiero. Il pensare, dunque, nella prospettiva plotiniana sembra implicare una sorta di movimento, inteso propriamente come attività che pone in relazione a se stessa l’oggetto intelligibile. La relazione che si determina originariamente fra oggetto di pensiero e pensiero pensante, che vengono ad identificarsi fra loro, costituisce l’essenza della dimensione noetica nel suo insieme.

Sulla base di quanto si è detto, appare dunque evidente che, mentre nell’ottica parmenidea, come si è visto, l’essere ed il pensiero vanno considerati immediatamente identici, in quanto non si dà l’uno senza l’altro, per Plotino essere e pensiero sono caratterizzati originariamente dalla distinzione e dall’alterità, intesa come “dualità originaria”, in base alla quale la dimensione intelligibile, ovvero l’Uno-che-è (τὸ ἓν ὄν) della II ipotesi o deduzione del Parmenide, si delinea come un’unità in sé differenziata, vale a dire, per usare l’espressione impiegata da Plotino anche nel passo precedentemente esaminato, come ἓν πολλά, uno-molti. Per questo egli, dopo aver affermato che Parmenide ha colto ancor prima di Platone la natura dell’intelligibile, sottolinea che l’Eleate, affermando che l’essere è uno, si è esposto alla critica (cf. V 1, 8, 23 : αἰτίαν εἶχεν). Nell’ottica plotiniana, in effetti, come si è appena messo in luce, da un lato, l’identità di essere e pensiero implica originariamente la loro distinzione ed alterità ; dall’altro, nella sua interpretazione o, più esattamente, rielaborazione della dottrina di Parmenide, Plotino non può certamente prescindere dalla concezione della natura intrinsecamente molteplice che nella prospettiva platonica caratterizza la realtà intelligibile; infine è anche assai probabile che la critica al monismo parmenideo si riferisca in particolare a quanto Parmenide afferma nel fr. 8 ai vv. 2-3, ove si parla di una pluralità di segni indicatori (...σήματ᾿ ἔασι πολλὰ μάλ᾿, ὡς...) posti sulla via dell’essere. In realtà i σήματα in Parmenide sono il riflesso dell’identità originaria di essere e pensiero e si delineano come caratteristiche direttamente desunte dalla nozione pura di essere; invece, secondo la prospettiva plotiniana, essi finiscono per venir considerati come la conferma della natura molteplice dell’essere, la quale si manifesta per Plotino nella distinzione originaria di pensante e pensato ed al contempo nella pluralità degli attributi specifici che possono venir impiegati per descrivere la natura dell’essere inteso come totalità unitaria di una molteplicità costitutiva ed intrinseca.

Entro la prospettiva neoplatonica plotiniana, l’essere si rivela come uni-molteplicità, ovvero come unità-identità nella differenza: non puro uno dunque, bensì, per così dire, intreccio di essere ed uno, la cui combinazione costituisce, a tutti gli effetti, la natura dell’Uno-che-è. Proprio entro questa prospettiva va dunque letta la parte finale del brano sopra citato. Ivi (Enn. V 1, 8, 23-26), come si è visto, Plotino afferma che il Parmenide di Platone, cioè Parmenide inteso come personaggio del dialogo omonimo, parlando con più accuratezza e precisione (ἀκριβέστερον λέγων) rispetto al Parmenide storico, distingue fra loro tre diverse “forme” o “concetti” di “Uno”. In primo luogo quello che è in senso più proprio ed autentico “Uno” (κυριώτερον ἕν), vale a dire l’Uno-in-sé, il Primo Principio assolutamente trascendente con cui viene identificata la I ipotesi del Parmenide; dopo di esso viene poi l’Uno della II ipotesi del Parmenide, vale a dire l’Uno-che-è, il quale nell’ottica plotiniana costituisce l’unità/identità nella differenza della realtà intelligibile nel suo complesso, cioè il Noûs che rappresenta la seconda ipostasi del sistema plotiniano: tale Uno proprio per la sua intrinseca molteplicità – che è al contempo la molteplicità delle entità intelligibili – si delinea come “uno-molti” (ἓν πολλά); infine a dare forma alla terza ipostasi plotiniana, vale a dire l’Anima, v’è quello che Plotino delinea come un terzo concetto di “Uno”, caratterizzato da una molteplicità che non è contemporaneamente unità, bensì che, per così dire, si accompagna all’unità. Infatti in questa ipostasi viene a sussistere la dimensione psichica nel suo complesso, che è una nella sua universalità ipostatica e parimenti molteplice, in quanto è in essa ed attraverso essa che si manifesta e viene a sussistere la molteplicità nel mondo, vista in aggiunta come fluire del tempo, ed è anche a partire da essa che viene a determinarsi la pluralità delle singole entità psichiche intese nella loro specifica individualità.

Sulla base delle precedenti considerazioni, appare chiaro il motivo per cui nell’ottica platonica plotiniana l’essere, inteso come Uno-che-è, non può venir concepito come pura unità, bensì come unità nella differenza, ovvero, per usare l’espressione plotiniana, come ἓν πολλά, uno-molti. Alla luce di tale prospettiva si comprende allora anche perché secondo Plotino l’ontologia parmenidea vada corretta, integrata e, di conseguenza, radicalmente modificata. Parmenide può aver ragione nel definire l’essere “uno”, solo se si intende dire con ciò che l’essere nella sua totalità è caratterizzato dall’unità nella differenza, ossia è uno-molti. Se inteso in questo senso, allora nella prospettiva plotiniana si può dire che Parmenide parla correttamente. Quindi l’essere per Plotino è intrinsecamente costituito dall’identità, che ne delimita l’unità, e dalla differenza, che ne determina la molteplicità. Per chiarire tale concetto, Plotino, in un passo del trattato IV della VI Enneade (il XXII secondo l’ordine cronologico), fa ricorso ancora una volta a Parmenide, ma un Parmenide reinterpretato e corretto, al quale viene attribuita una prospettiva di pensiero di fatto non riconducibile all’effettiva ontologia parmenidea, in quanto nell’orizzonte concettuale del Parmenide “neoplatonico” di Plotino la differenza acquisisce una precisa connotazione e valenza ontologica, tanto da risultare un tratto distintivo dell’essere. In tale passo non viene menzionato il nome di Parmenide, ma viene fatto riferimento, anche con dirette citazioni, ad alcuni suoi versi del fr. 8. Plotino ha appena illustrato come la molteplicità sia un tratto distintivo dell’Essere/Intelletto e dell’Anima; il problema è però la natura di questa molteplicità: come si può concepire l’Essere/Intelletto (la II ipostasi) o l’Anima (la III ipostasi) come “uno” ed al contempo porre una molteplicità di enti e di intelletti o di anime, senza che l’Essere/Intelletto stesso o l’Anima si frammentino in una molteplicità di entità distinte fra loro ? Al fine di rispondere a tale domanda, Plotino, dopo aver sottolineato che per spiegare la natura di tale molteplicità non è sufficiente affermare che essa procede da un’unità originaria, così come una serie numerica, si concentra sulla natura della differenza originariamente presente nell’Essere/Intelletto...

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